POPULISMO s.m.
Il populismo è democrazia non organizzata, è la democrazia
alla deriva di purezza, al suo eccesso teorico, alla sua pratica meno razionale,
che, il caso vuole, oggi sia la parola d’ordine per indicare ogni personalità la
quale, sul piano politico, riesce effettivamente a crearsi un seguito tra i
cittadini (non accaso i soggetti hanno questo nome: sono coloro che votano su
base “regionale” ) dei paesi occidentali a maturato livello di
americanizzazione sociale, economica e politica.
E’ un iter naturale e benigno quello che si sta seguendo? Siamo davanti ad uno step necessario e progressivo, ad
una dolorosa, agognata “vittoria della
democrazia” (espressione che piace sia ai vincenti quanto ai perdenti della lutte politique)? O invece si tratta,
usando un espressione romana efficace ma in disuso, di un “foco de paja”?
Di fronte al populismo e alla democrazia, presi come termini dialettici e fuor
di prassi, dovremmo essere sul piano di un felice connubio: ma aimè,
spostandosi nella pratica, le contraddizioni e le ferite vengono a galla
numerose. Quelle che dovrebbero essere investiture popolari, quindi di massa,
di una massa consensiente e capace di giudicare anche bendata, una massa così
cara ad ogni uomo politico del novecento (in ambiti totalitari o meno), che si
vuole e crede ad oggi savia, consapevole, ormai con una coscienza, diventano
riduzioni all’uno, culti della persona (più che della personalità), una stretta
al monos, che tanto daccordo col demos non va. Quando un popolo è pronto
per decidere, si chiederebbe un liberale di una volta? E i liberali di oggi,
cosa si chiedono? Bisognerebbe domandare ad Eugenio Scalfari, quali sono i
giorni della settimana in cui crede che un popolo è pronto a decidere da solo
(di sabato? I giorni dispari? O 2 volte al mese?). Se i quadri direzionali dei partiti liberali
e marxisti, nonchè democristiani e socialisti, chi più chi meno, non hanno mai
creduto nella totale libertà del popolo italiano e del mondo in genere, oggi
campano di rendita (i sani costi della politica..), coloro che oggi, parvenus, riescono a portare con se il
popolo (due nomi: Veltroni e Berlusconi, infausta rima!) sono l’antipolitica.
Ed ecco l’altra parola chiave.
La dilagante antipolitica, la nemica della politica, del cittadino, del bene
comune. Ma non può esistere il negativo senza il positivo che lo significa:
quindi dipende dalla politica il peso e l’eccesso del suo antagonista. E qui avviene il miracolo: colui che uccide incolpa la
vittima di essere morta e la giuria lo assolve, nel tripudio del popolo astante
che aspetta di riempire le piazze, per un nuovo plebiscito. Grillo è figlio di
Silvio, e non lo sa. La rete, reale possibilità di diffrazione, mescolanza e
rinascita, diventa piattaforma, palcoscenico, ovvero il suo contario. C’è
rinnovamento in questo? La politica, le possibilità materiali di migliorare le
condizioni di vita e la libertà spirituale di un gruppo di persone, traggono benificio
da questi cambiamenti d’orizzonte? E’ il consumo che genera l’oggetto, o l’oggetto
esiste di per se? Il populismo, l’antipolitica, in realtà sono fratelli buoni,
probabili nostri amici, tentativi alla deriva per arginare un deriva: il
restringimento pratico, ma appunto incompleta e già fallita, dell’estetizzazione
e al consumo fugace che ogni esperienza, politica, culturale e sociale deve
avere in un paese a sviluppato livello di americanizzazione, usando cari vecchi
termini, a capitalismo avanzato. C’è poco da scegliere e ogni valutazione
marxista e post-marxista sembra ora più che mai, di difficile usablità. Ogni
paragrafo deve essere definito, le dialettiche ripulite e messe di nuovo ben in
vista: ogni avanguardia di partito oggi,
deve cambiarsi giacca e taglio di capelli, perché il loro corpo, il partito, è
già dilaniato da altri poteri che così, diventano sempre più grandi. E’ il
populismo è forse uno dei loro modi per
essere ancora più pesanti.