IN NOME DEL PARLAMENTO SOVRANO

Nel 1993, in piena epoca tangentopoli, gli italiani decisero di andare ad esprimere la propria opinione sulla legittimità di mantenere il finanziamento pubblico ai partiti.
Fu così abrogato quel meccanismo tanto caro alla Prima Repubblica.
 

Precisazione superflua: rimaneva in vigore il RIMBORSO delle SPESE ELETTORALI. Vedremo più avanti perchè è un particolare così importante. 

Ogni volta che andiamo a votare, stiamo esercitando la NOSTRA sovranità.
Chiunque venga eletto, sarà strumento del NOSTRO potere, governerà In nome del popolo sovrano.
Si chiama democrazia rappresentativa proprio per questo.

Quella che “firmiamo” con il voto non è però una delega in bianco. Esiste infatti uno strumento di controllo importantissimo, mediante cui di fatto possiamo “annullare” parzialmente quella delega, recedere da un contratto che diversamente potrebbe renderci schiavi: il REFERENDUM ABROGATIVO. 

Il Parlamento promulga le leggi per nostro conto e nel nostro interesse – pura teoria.
Talvolta non è esattamente così – talvolta…massì, si fa per dire.

Ecco allora il DIRITTO del SOVRANO – lo sottolineiamo ancora, il POPOLO SOVRANO: 
Articolo 75 della Costituzione: È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum”.  

Fin qui il diritto di inchiostro, carta e buona volontà.
Cos’è però nella realtà dei fatti un REFERENDUM? Come si FA?
 
Si presuppone che qualcuno trovi “non rispondente alla volontà generale del POPOLO” una legge. Anche una sola persona. Non una persona qualsiasi, perchè: 

[PRIMO STOP: con la legge di attuazione dell’articolo 75, cioè la legge 352/1970, e con numerose successive sentenze della Corte Costituzionale, sono stati introdotti diversi limiti rispetto all’oggetto del referendum abrogativo. Anche TUTTA una legge, ma NON TUTTE le leggi. Non più escluse solo quelle previste all’articolo 75, ma anche quelle con rilevanza costituzionale o con particolare valore. Non basta. Spesso una legge contiene disposizioni di tenore diversissimo, di modo che nei fatti è molto più frequente il ricorso al quesito con abrogazione parziale: in questo caso, il nostro “eroe” dovrà selezionare le parole dei singoli articoli della legge, eliminando le quali sia eliminato l’effetto, il senso non voluto di quell’atto. Giudicherà la Corte Costituzionale anche della chiarezza del quesito, senza possibilità di appello. Traduzione: materia messa nelle mani di insigni costituzionalisti, pena bocciatura della richiesta] 

Fatto questo, occorre raccogliere e FARE AUTENTICARE le 500MILA firme (minime) richieste. Operazione per la quale sono concessi dalla legge 352 ben 3 mesi di tempo. 

[SECONDO STOP: chi paga? chi lavora a quest’impresa? NON paga lo STATO (ma può pagare un Partito – sarà mica per questo che tanti associano la parola REFERENDUM al Partito Radicale?), NON LAVORA lo Stato] 

CI SIAMO ARRIVATI, ALLORA. Eccolo, il problema del RIMBORSO DELLE SPESE. 
Una sola legge, per fortuna, ci aiuta a capire. (Certo, una legge con tutte le successive modifiche). 

Nel 1999 il Parlamento promulgava la legge numero 157, intitolata “Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici”.Tutta la disciplina che ci interessa è contenuta negli articoli 1 e 2, così come modificati da ultimo nel 2002.
Ne deriva il seguente impianto economico: 

SPESE ELETTORALI: consultazioni per il rinnovo di Camera, Senato, Consiglio Regionale e Parlamento Europeo sono tenute distinte, 4 SINGOLE VOTAZIONI.
Per ognuna di esse, ogni cittadino ISCRITTO ALLE LISTE ELETTORALI “vale” 1 EURO.
In totale, 4 EURO PER CITTADINO ISCRITTO (si badi bene, anche i non votanti).
50 milioni di iscritti significano 200 milioni di euro da ripartire.
In che modo, è presto detto. Un unico sbarramento, all’articolo 2 della legge: partecipano al riparto solo i partiti che abbiano raggiunto la soglia dell’1% dei voti espressi. Superato il limite, i 50 milioni che abbiamo ipotizzato vengono ripartiti in base alla percentuale di voti ricevuti. Si noti bene, per calcolare il rimborso si utilizza il dato delle iscrizioni alle liste elettorali, mentre la percentuale si riferisce ai voti REALMENTE ricevuti. Un partito che dovesse ottenere il 50% dei voti, non avrebbe DI CERTO ricevuto 25 milioni di voti. Ma riceve DI CERTO 25 milioni di euro.
Questo calcolo va effettuato PER OGNUNA DELLE 4 CONSULTAZIONI.
Non basta.
Con la modifica apportata dalla legge 156/2002 è stato previsto che il “rimborso” così calcolato vada concesso PER OGNI ANNO DI LEGISLATURA. Non 200 milioni di euro IN TOTALE, ma 200 MILIONI DI EURO ANNUI.
 

e se un “rimborso delle spese per consultazioni elettorali” non viene fatto più dipendere EFFETTIVAMENTE dal fatto che un’elezione ci sia, si può ancora correttamente chiamare così?

Nel 1993 gli italiani hanno votato per l’ABROGAZIONE del FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI.
Punto. 

SPESE REFERENDARIE: ancora la legge 157 del 1999 (con le successive modifiche) prevede che in caso di referendum abrogativo (ammesso dalla Corte Costituzionale, e per il quale siano state regolarmente raccolte almeno 500mila firme valide) sarà attribuito al comitato promotore un rimborso di 1 EURO PER OGNI FIRMA VALIDA (e non per il numero di cittadini iscritti nelle liste elettorali), purchè sia RAGGIUNTO IL QUORUM DI VALIDITA’ del referendum, e CON UN LIMITE MASSIMO DI 5 MILIONI DI EURO.
Per capirci: affinchè questo RIMBORSO (questo sì che è un rimborso!) sia concesso, occorrera che il 50% più uno degli iscritti alle liste elettorali votino il referendum. In questo caso, e solo in questo caso, ai promotori sarà attribuita una somma dipendente dal numero di firme raccolte, e non di voti favorevoli ottenuti.
Per raggiungere i 5 milioni di euro, occorrerà raccogliere 5 MILIONI DI FIRME IN TRE MESI (!!!!!!).
 

Conclusione: NON IN NOME DEL POPOLO SOVRANO si governa, MA IN NOME DEL PARLAMENTO SOVRANO.  Il referendum abrogativo, oggi, non ci va.


Quello che si è cercato di spiegare è un meccanismo che contrasta col diritto alla PARTECIPAZIONE ATTIVA alla politica e alla democrazia. Qualcosa si può fare, subito. 
La prossima domenica, 18 novembre, la Valle d’Aosta vota il PRIMO REFERENDUM PROPOSITIVO DELLA STORIA della nostra Repubblica.
Che non risolverà i problemi di “rimborsi” e di “spese della democrazia”, certo, ma che può eliminarne uno ben più grande: il POPOLO non delega più il potere legislativo, non è più COSTRETTO a vigilare sul modo in cui quella delega viene esercitata.
IL POPOLO DIVENTA LEGISLATORE: dopo un’iniziativa di legge popolare (dello stesso tipo di quella scelta da Beppe Grillo, per intenderci), si assume anche il compito di decidere se quel testo debba diventare legge, baipassando il Governo locale.
Invitiamo i valdostani ad andare a votare, sperando che un grande successo possa “costringere” altri amministratori locali a seguire la stessa strada, lasciando che sia il POPOLO a scegliere SE delegare ad altri il potere di scrivere una legge.    

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